Viaggio a Creta. Prima puntata

Senza titolo

Tra pochi giorni il solstizio e l’inizio ufficiale della stagione estiva. Quest’anno, per il nostro consueto appuntamento quindicinale, ho deciso di partire con voi alla volta di Creta, raccontandovi in cinque puntate, da oggi al 7 agosto, il mio ultimo viaggio in quell’isola.

Prima di avviarci una domanda: che cos’è questo mal di Grecia, questa nostalgia che mi afferra quando da qualche tempo non ci faccio ritorno? Perché ogni volta è come se mi accingessi a percorrere la strada che mi riconduce a casa?

Ricordo che da piccola – non sapevo ancora leggere – amavo sfogliare i volumi dell’enciclopedia “Le civiltà”, edita da Vallardi, che papà aveva acquistato. La carta patinata mi restituiva le immagini delle colonne rosse di Cnosso – che colore straordinario, così vivace, nonostante i millenni trascorsi, pensavo, ignara dell’intervento di restauro di Evans – rosse e rastremate verso il basso, e i portici, i piani sovrapposti in mezzo alla natura, la sala del trono, e i gigli e i principi e i delfini, coloratissimi e sorridenti, pitture vascolari che parlavano del mare e delle sue creature.

E poi Tirinto con le sue formidabili mura di cinta, e Micene, in mezzo al silenzio, battuta dal vento, scabra di guerra e sangue d’assassinio sulle gesta degli eroi dell’epos.

Avevo scelto Lettere Classiche con indirizzo archeologico, per i miei studi universitari e non avevo mai visitato la Grecia. L’avevo solo percorsa in volo, nei miei arditi progetti di ragazzina. Poi il trasferimento a Roma e il viaggio a Creta, nel 1986, alla vigilia della prima annualità dell’esame di Archeologia e Storia dell’Arte greco-romana, con il Prof. Lidiano Bacchielli, allievo del Prof. Sandro Stucchi.

Finalmente Cnosso e Festòs, Gurnià, Kato Zakros, Gortina, il Museo archeologico di Heraklion, la dea dei serpenti, l’ape di Mallia.

Gianluca, Francesca ed io.

Ricordo che volammo con un boeing della Qantas Airlines –  era il mio primo viaggio in aereo ed era sera, se non ricordo male decollammo intorno alle 22.00 – facemmo scalo ad Atene, pernottammo in aeroporto perché l’indomani all’alba un trabiccolo dell’Olympic ci avrebbe deposti a Heraklion. Avevo la sensazione di volare a bassissima quota e non riuscivo a distogliere lo sguardo da tutta quell’alba che correva sulla seta appena increspata dell’Egeo, e distribuiva a manciate le isole. Il mare e la terra degli dei. Nelle vie di Heraklion, di prima mattina, poca gente in giro e profumi di Medio Oriente.

Mac non è mai stato a Creta. Gli avevo raccontato della primavera sull’isola, in prossimità della Pasqua ortodossa, in viaggio sui pullman di linea che la attraversavano, passando per Gortina fino a Festòs; della fioritura gialla che interrompeva la teoria dei verdi, attorno al tempio di Apollo; del Golfo di Mirabello, di Sitia, Agios Nikolaos; di Gurnià, sulla strada per Vai, una delle spiagge più celebrate, lambita da 5000 palme.

E qualche tempo fa la nostra settimana di fuga a due fu a Creta.

Partenza a mezzanotte e venti, a metà tra il venerdì e il sabato, da Fiumicino, dove l’aria è ferma e fa soffrire.

Atterriamo ad Heraklion, puntualissimi, alle 3.40, arsi dalla sete dopo il panino a metà, in extremis, al gate, a rinforzare la bistecca della nostra parca cena.

Il distributore di bibite, all’aeroporto di destinazione, ci rifiuta la Coca Cola che ci ha prima promesso per un euro. Recuperiamo il bagaglio che ci hanno spedito in stiva e prendiamo possesso del nostro piccolo catorcio bianco, una Yunday Atos, spartana e lercia.

E’ una notte fresca come la nostra voglia di cominciare insieme questo viaggio, direzione Chanià.

Ci fermiamo lungo la costa, stiamo letteralmente crollando, abbiamo bisogno di recuperare almeno parzialmente la lucidità perduta in una notte senza sonno – in aereo impossibile assopirsi nell’ultima fila, tra le chiacchiere di un’hostess decisamente antipatica e il fracasso di porte e scomparti vari, chiusi con malagrazia. L’alba sgomita e io scendo dall’automobile e scatto due fotografie.

E’ Creta, sono gli ulivi sdraiati sulla terra rossa, ondulata di roccia, è l’agguato degli oleandri nella frattura che cede all’acqua del rio.

Ci fermiamo per la colazione a Kalami, una cinquantina di chilometri dopo Rethimnon, in riva al mare, con due caffè e baguettes farcite di feta e pomodoro.

Arriviamo a Kissamos, dove risiederemo, all’Aphrodite Beach che, in attesa della nostra stanza – siamo in netto anticipo – ci accoglie su una spiaggetta deliziosa, due lettini sotto un ombrellone di paglia e il primo bagno di questa vacanza di mare, con lo sguardo ancora al viaggio a sorpresa a Pietroburgo, che Mac mi ha regalato per il mio compleanno, e alle storie della letteratura russa.

Alle 13.00 è pronta la camera dove sistemiamo le nostre cose per ritornare al lido a lasciarci inghiottire nel vortice del sonno. La mattina successiva, è domenica, faremo il bagno e prenderemo il sole su una delle più rinomate spiagge dell’isola, Balos. E quando la meta è ambita…è giusto che costi fatica raggiungerla.

In automobile ci attende mezzora di sterrata, tutta dossi e buche, che si affaccia al golfo di Kissamos, da percorrere a 20 chilometri all’ora, in una carovana di automobili che ci precedono e seguono. E poi a piedi, per un’altra mezzora, a scarpinare sul ciglio del promontorio che ci apre, man mano che procediamo, uno dei più suggestivi panorami marini che io abbia mai visto. Una lingua di sabbia congiunge, all’estrema punta nord-ovest dell’isola, il promontorio di Còrico a Capo Tigani.

La laguna di Balos si è formata grazie al progressivo insabbiamento dell’isola di Capo Tigani. E la sabbia sono frammenti di conchiglie e coralli. I passi affondano nella battigia calda. Ombrelloni e lettini prendono posto in modo discreto, considerato che ci troviamo su una delle spiagge più frequentate dai turisti che, a ondate progressive, sono rigurgitati dai battelli partiti da Kissamos, che propongono escursioni anche alla prospiciente isola di Grabusa.

C’è vento e il mare è di quel raro azzurro che non ti fa andar via.

Tutto è qui, a portata di mano, pronto da vivere. Ci cuociamo a fuoco lento ma non ce ne avvediamo; è così piacevole e fresca la brezza che non si posa mai.

Domani sarà tutta un’altra storia, non  riusciremo a rinunciare all’ombrellone, ad eccezione di qualche bracciata tra le onde, a Falassarna.

Balos ha impresso il suo sigillo sulla nostra pelle.

La prima puntata termina qui. Tra quindici giorni, l’appuntamento sul mio blog!

 

 

 

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Flavia
1 anno fa

Che nostalgia di Creta!!!!

RITA
1 anno fa

Cara Paola. Anche se non riesco a seguirti sistematicamente , sai quanto io ti stimi.
È sempre piacevole e “cinematografico” leggere i tuoi scritti.
Un caro abbraccio
Rita

Andrea G.
1 anno fa

Ormai non ci sorprende più la tua abilità descrittiva, con questo modo di raccontare che viene dal cuore, evidenziando (senza timore di smentite) il profondo amore che metti in questa attività! Non mi dilungo oltre e passo subito alla puntata successiva (e so che Creta, merita davvero. Non vedo l’ora di andarci, un giorno)! 😉