Finalmente è il fresco della sera in montagna. Ancora qualche straccio di nuvola tra le cosce dei monti, è piovuto qualche ora fa, e il tempo adesso è di primo autunno, all’inizio di agosto.
Ci siamo trasferiti da una settimana, o, meglio, ci siamo limitati a depositare le cose perché una serie di impacci ci ha trascinati di nuovo sotto il caldo afoso che ci schiaccia, da cui eravamo fuggiti. Abbiamo solo avvicinato le labbra alle foglie dei pioppi dell’Espineta in passeggiata, alla Morretta che rosseggia ad occidente, alla mappa del cielo di stelle, alle campane che rintoccano il silenzio.
Oggi ci sono ed è il primo dei giorni.
Voghera e l’Oltrepò pavese, appena ieri, un appuntamento, un impegno, il pretesto di una gita a ritroso, da lasciar cadere non appena l’anticiclone africano si risolverà a rallentare il passo.
Le temperature delle previsioni meteorologiche promettono almeno 5 gradi in meno, domenica e lunedì, e noi lasciamo Orvinio alle 6.30, in una giornata da bollino nero conclamato, procedendo nella direzione opposta alla carovana dei vacanzieri agostani. Verso Nord.
Stasera a Salice Terme e il pomeriggio a zonzo nella mia città, dopo trent’anni o più. Non lo ricordo. Tempo che si sovrappone al tempo, nomi di strade e piazze, la scuola di danza diretta dalla Maestra Censi, appunti, schizzi, abbozzati nella memoria degli affetti, da ricollocare puntualmente sulla mappa dei nostri passi, insieme ai negozi che frequentavamo d’abitudine, almeno fino ai miei sei anni compiuti, prima del trasferimento a Pavia. E sulla via Emilia, nelle vetrine di alcuni esercizi commerciali, temporaneamente chiusi, le immagini tratte dalle migliaia di scatti dell’archivio Cicala, conservati nella Biblioteca Civica, che raccontano di una città vivace, felice di una posizione geografica strategica, nella media valle padana, sulla sinistra del torrente Staffora, tra l’Appennino e il litorale ligure, naturale crocevia del traffico commerciale, tra la metà dell’Ottocento e la prima del Novecento.
Voghera, che contava nel territorio comunale 13.800 abitanti, nel 1861, e 30.422 nel 1931, di cui 24.559 in città. Il ridente centro agricolo, tra i più rilevanti della regione, la sede di una fiorente scuola di agricoltura, la sua campagna che produceva varietà locali di pregio, come il peperone di Voghera, destinato per trent’anni, a partire dal 1920, non solo al mercato nazionale ma anche all’esportazione in Europa e negli Stati Uniti. Una fortuna interrotta bruscamente negli anni ’50 a causa di una malattia che falcidia la coltivazioni.
Voghera delle manifatture, delle industrie tessili che lavoravano il cotone e la seta, della fabbricazione di cappelli di feltro.
Le immagini Cicala aprono gli occhi delle vetrine chiuse, in una città che inevitabilmente non è più la stessa.
Parcheggiamo all’imbocco di via Cavour e cominciamo a camminare nel tardo pomeriggio domenicale, l’aria più fresca, pochi i passanti nelle vie del centro, il vecchio nucleo medievale, cinto, fino al diciannovesimo secolo dalle mura viscontee, a pianta ovoide, attorno al Duomo, dedicato a San Lorenzo, opera dei primi del XVII sec. dell’architetto genovese Mario Corbetta, dove sono stata battezzata il 29 giugno di tanti anni fa.
Un mosaico sotto la via Emilia, i resti di un colonnato a piazza Duomo sono le tracce superstiti dell’impianto urbano dell’antica Iria, cittadina preromana di origine ligure, nella IX regione augustea d’Italia, registrata dall’Itinerario Antoniniano a dieci miglia di distanza da Dertona, l’attuale Tortona, lungo la via Postumia tracciata nel 148 a. C. dal console C. Postumio Albino, da Genova a Piacenza.
Iria o, meglio, Forum Iulii Iriensium, la fondazione cesariana o augustea il cui nome appare completo nelle iscrizioni di Aquileia e di Tortona, della quale non è stato possibile ricostruire l’impianto urbano. Colonia destinata a decadere irrimediabilmente, passo passo, con lo sfaldarsi progressivo dell’impero, fino a ridursi a semplice vico che, però, si guadagnerà il merito di lasciare il suo sigillo nel nome Voghera, che il medievale Viqueria calcherà su Vicus Iriae.
Camminiamo, valichiamo il medioevo rosso delle cortine murarie del centro, i Longobardi, i Franchi, le lotte tra i liberi Comuni e l’impero, la signoria dei Visconti di Milano, dei conti Dal Verme, degli Sforza, i Francesi, gli Spagnoli, il regno di Sardegna, la provincia piemontese che il neonato Regno d’Italia renderà finalmente lombarda.
Io ci sono nata e non so raccontare questa storia a Mac, così, come l’ho scritta. Ero piccola, e adesso che il pomeriggio si sta consumando vado a cercare sotto i portici di piazza del Duomo Silvani e i suoi grissini fragranti, più avanti Melchionni, dove la Ciccia mandò in frantumi uno specchio da terra che costò un’enormità; lungo la via Emilia Christian, dove la mamma mi comprava gli abitini eleganti; dietro quel portone il fotografo Pallavicini, caro amico di famiglia, le vetrine del negozio di calzature Sala, e poi Vecchi, con le sue porcellane e i suoi cristalli, il Sociale, il teatro neoclassico della città.
Gli anni dell’inconsapevolezza felice dell’infanzia, quando Voghera erano i gemelli, Anna e il suo forno, la Porsche rossa a pedali e le corse in bicicletta sotto il viale di ippocastani.
Anna strizzava gli occhi e lo fa ancora, e li riempie di luce quando mi vede. Vado a trovarla, come sempre quando capito a Voghera. Mi offre il caffè nelle tazzine del caffè Paulista, Lavazza, con il bordo giallo, marrone e rosso del poncho dei protagonisti animati del carosello.
E’ il momento di andar via e lei mi stringe, mi guarda e mi dice che il mio abito è fine e mi sta tanto bene indosso. Come a una bambina, quella che era me.
Camminiamo. Il silenzio della città si strappa: un papà rincorre la sua figlioletta, le intima di fermarsi, sbuca un’automobile da una strada laterale.
Accenti dell’est d’Europa e d’Asia; l’Africa nelle acconciature di due belle ragazze di colore che spingono un passeggino. Una signora è scesa a farsi una passeggiata, giusto per non pensare troppo, lassù, da sola, chiusa in casa. Non ha portato neanche la borsa.
E’ sempre bello addentrarsi nelle storie di Maria Paola che racconta di sé bambina! Bello e malinconico…..
Grazie, amica mia❤