La bouganville è fiorita e le due piante, in vasi contigui, sulla grata di legno hanno intrecciato negli ultimi anni i colori dei fioriin accenti rubescenti di amaranto, cremisi, ciliegia, rosso cardinale, talvolta sui petali dello stesso fiore. Tavolozze di primavera.
Da tre settimane sono sbocciate le strelitzie, “gli uccelli del paradiso”, migratinel Regno Unito dall’Africa australe già nel 1700, quando il naturalista Joseph Banks nel loro nome volle omaggiare la regina d’Inghilterra, Carlotta Sofia, duchessa di Mecklemburg-Strelitz, moglie di re Giorgio III.
Le strelitzie superbe che la mia mamma aveva incominciato a coltivare nel giardino di casa sua, al riparo dai raggi diretti del sole, sotto l’ombra dell’acero giapponese. Ne aveva preparato un vaso anche per me che le amo da sempre, ma sul terrazzo che circonda il mio appartamento, esposto a sud-est e sud-ovest, luce e calore non concedono tregua.
Per ventiquattro mesi la pianta si rifiutò di fiorire e io mi convinsi che quel trasloco le era stato fatale.Fino al 2020, l’anno della pandemia, quando tra le lunghe foglie coriacee, i fusti carnosi spalancarono sul capobizzarrecreste blu e arancioni e la primaverarimise piede su questa terra sbigottita. La natura sgomitò tra le cose degli uomini, si riprese le città e le pitturò di verde nuovo.
Era tornata Persefone, la kore, la fanciulla, la bellissima figlia di Demetra, dea delle messi. Era tornata dagli Inferi e dalle tenebre a risvegliare di splendore il creato.
L’aveva rapita Ade, signore dell’oltretomba, fratello di Zeus, che la vide un giorno su un prato, felice a raccogliere fiori, splendida nel candore irresistibile della sua seducente purezza e se ne innamorò perdutamente, ferinamente,e brutalmente la rapì.“Sgomenta la dea con flebili parole chiamava la madre e le compagne; ma più spesso la madre; e poiché aveva stracciato nell’orlo estremo la veste, all’abbassarsi del lembo, i fiori raccolti le caddero. E anche questa perdita produsse dolore nel suo cuore verginale, così grande era il candore dei suoi primi anni” (Ovidio, “Le metamorfosi”).
Una voragine si spalancò sotto i suoi piedi e lei, bagliore del giorno, venne trascinata nell’oscuro regno di tenebra e morte. Demetra, con due fiaccole nelle mani, “due pini che mandavano fiamme” (Ovidio, ib.), si diede, disperata alla ricerca di sua figlia, per nove giorni e nove notti. “Un acuto dolore la colse nell’animo: le bende, che le chiome immortali cingevano, lacerava con le sue mani, si gettava sulle spalle un cupo velo, e si slanciò sopra la terra e il mare, come un uccello, alla ricerca. Ma nessuno degli dei e degli uomini mortali voleva dirle la verità e nessuno degli uccelli venne a lei come verace messaggero” (“Inno a Demetra”).
Finché Elios, il Sole, il dio che tutto vede, non le rivelò il suo rapimento, consumato con la complicità di Zeus.
Esplose la collera della dea delle messi che impedì alla terra di fruttificare, annientandola con un inverno che sembrava non dovesse mai avere fine. “Con spietata mano infranse gli aratri che rivoltavano le zolle; sdegnata condannò a morire coloni insieme ai bovi dei campi; impose ai seminati di non rendere i raccolti e fece guaste le sementi” (Ovidio, ib.).
Fu Zeus, angustiato per le sorti dell’umanità, a placare il suo sdegno. Acconsentì alla liberazione di Persefone che per la terza parte dell’anno sarebbe rimasta “laggiù, nella tenebra densa” (“Inno a Demetra”) e per due terzi in compagnia della madre e degli altri immortali, sulla terra grata di frutti e di fiori odorosi.
Ade, prima di accompagnarla sulla terra, temendo che l’amata non rispettasse il patto, rifiutandosi di ritornare da lui, le offrì “il seme del melograno, dolce come il miele, furtivamente, guardandosi attorno” (“Inno a Demetra”). Chiunque, infatti, si fosse cibato dei frutti dell’oltretomba sarebbe stato costretto a farvi ritorno.
Qualche anno fa Antonella Cappuccio dipinse una tela straordinaria che riproponeva la celeberrima “Primavera” di Sandro Botticelli. Di spalle. Aveva ribaltato il punto di vista. Zefiro, Clori, Flora, Cupido, Venere, le tre Grazie, Mercurio avevano preso congedo dall’uomo che li aveva traditi e delusi.
Io la vidi e scrissi questo frammento che si intitola “Primavera”
Fu nel sudicio lembo
dell’estremo oltraggio
non nel regno d’Ade
che Persefone
azzurra di campo in fiore
all’Uomo disse addio
Disboscamento selvaggio, desertificazione, dissesto idrogeologico, cambiamenti climatici, surriscaldamento globale, sfruttamento indiscriminato delle risorse, disarticolazione del paesaggio, abusivismo edilizio, inquinamento, sovrapproduzione di rifiuti.
Oggi è l’uomo, non il signore degli Inferi, a precipitare la terra nel baratro del suo odioso oltraggio.