Le piccole cose di casa

Foto da Maria Paola(1)

Ieri ho passeggiato a lungo con Mac. E’ bello sulle strade di Natale a Roma, la luce calda del sole che bagna le architetture del centro. Senza accorgercene, quasi dieci chilometri, finiti sotto ai nostri passi.

E oggi a casa, dunque, a occuparci di quelle piccole cose che altrimenti sarebbero destinate inevitabilmente a scorrere via, tra le maglie fitte dei doveri quotidiani.

Mac si è dedicato al restauro del tulipano rosso di vetro che, qualche anno, fa avevo portato in dono da Venezia alla mia mamma. L’ho fatto cadere, muovendomi maldestramente tra le sue cose, e lui lo ha riparato con la colla, l’amore e la perizia di chi sa come rimettere tutto a posto.

Io, invece, oggi coglierò l’occasione per celebrare un rito periodico e irrinunciabile, per prendermi cura del mio accessorio preferito, imperituro oggetto del desiderio: la borsa, in qualsivoglia foggia, colore o materiale sia confezionata. Ho estratto dalla custodia quella che papà, investendo il suo intero stipendio mensile, regalò alla mamma, negli anni ’60. Nera, preziosa, in pelle di lucertola, con due manici che ho dovuto sostituire, perché il tempo non arretra, adunghia anche ciò che nasce perfetto.

L’ho predisposta con cura al trattamento, l’ho pulita, idratata con la crema detergente e poi ho rivolto la mia attenzione alla chiusura a scatto, velata da una leggera ossidazione. Con lo spazzolino e i bastoncini ovattati per l’igiene delle orecchie imbevuti nel Sidol, mano dopo mano, ho riportato il metallo alla sua originaria cromia e lucentezza. Ho i polpastrelli neri, la foga di iniziare le operazioni di intervento mi hanno fatto saltare a piè di pari i preliminari e ho dimenticato di indossare i guanti in lattice.

Se c’è una cosa che non sopporto è pulire gli oggetti con il Sidol. Di ottone o d’argento che siano.

Sidol significava almeno un’ora di aborrito lavoro di pulizia e lucidatura delle maniglie delle porte di casa, quando ancora abitavamo a Pavia, cui ero stata preposta da papà.

Comprendendo la porta di ingresso, la nostra abitazione ne contava altre sei di accesso a rispettivi vani e, di conseguenza, ben dodici maniglie su cui intervenire con pazienza e alacrità che, al di là di tutti i migliori propositi della vigilia, erano destinate a dileguarsi dopo pochi minuti.

Le nostre maniglie opponevano una strenua resistenza ad ogni mio tentativo di riportarle all’irraggiungibile condizione primigenia e, a lavoro ultimato, non potevano del tutto soddisfare le aspirazioni paterne alla perfezione. Del resto era un convinto assertore della teoria che ogni cosa doveva essere fatta a regola d’arte o come la faceva lui. Che, poi, la seconda condizione si identificasse nella prima, era un particolare del tutto incidentale.

Questo presupposto, com’è facile intuire, mi intimidiva e metteva in agitazione, soprattutto quando ero chiamata a fungergli da assistente mentre attendeva a qualche lavoretto domestico. Temevo costantemente di non capire le dinamiche di cui mi sarei dovuta occupare, anche perché lui sottintendeva o trattava sommariamente dettagli imprescindibili per la corretta esecuzione dell’incarico.

Mi ricordo di una domenica d’estate, in particolare, quando la tapparella della porta-finestra della cucina si bloccò e fu necessario intervenire sull’avvolgibile.

Papà, una volta estratto il marchingegno dal suo alloggiamento nella parete, mi raccomandò, prima di affidarmelo, di prestare molta attenzione per evitare che scattasse la molla: sarebbe stato molto pericoloso, mi sarei ferita.

Il pomeriggio sarei andata al Luna Park con alcuni compagni della scuola media e vuoi per l’ostinazione con cui mi ripetevo che mai e poi mai avrei dovuto allentare la presa, vuoi per il sudore che mi imperlava le mani, ogniqualvolta mi agitavo, accadde compiutamente ciò che avrei dovuto scongiurare.

La molla scattò velocissima e prima che riuscissi a liberarmi dell’avvolgitore, la mia mano destra sbiadiva per colorarsi vivacemente, un attimo dopo, del nero del lubrificante del meccanismo e del rosso del sangue caldo che sgorgava copioso.

Papà si spaventò moltissimo, io, in apnea, non proferii motto. Mi condusse di corsa in bagno, mi lavò la ferita con acqua fredda, e, non del tutto convinto dell’efficacia antisettica dell’acqua ossigenata, ricorse senza indugio all’alcool e, dulcis in fundo, al succo di limone che ebbe il merito di fornirmi un’idea sufficientemente esaustiva del numero e della natura degli oggetti celesti al di fuori della nostra galassia.

Quel pomeriggio non rinunciai al Luna Park: mi feci largo tra la folla domenicale, proteggendomi la mano destra, vistosamente spennellata di tintura di iodio e difesa da una fasciatura monumentale.

E’ innegabile che riuscire a cavarcela da soli, per risolvere i piccoli inconvenienti domestici della nostra quotidianità, ci riempie di soddisfazione. Per quel che mi riguarda, per esempio, anche solo per essere in grado di accorciare un paio di pantaloni, desidererei imparare a usare la  macchina per cucire che ho ereditato dalla mia mamma, una Vigorelli 2000, un gioiello nel suo genere, dotata di un intero corredo di dischi per i più sofisticati ricami.

Un modello avveniristico che papà acquistò direttamente dal Sig.Vigorelli che era venuto ad abitare con la sua famiglia nell’appartamento di fronte al nostro, a Pavia. Ma io trovo già complesso regolare la tensione del filo e inserire la bobina al di sotto del piano di lavoro e non riesco a scovare nella mia zona un corso di cucito da frequentare, compatibilmente con i miei impegni lavorativi.

Ma non demordo, quanto meno la voce “imparare ad usare la macchina per cucire” sarà puntualmente inserita nel decalogo dei buoni propositi per il nuovo anno che ogni primo gennaio sarà vergato in calligrafia sul mio taccuino.

 

 

 

Subscribe
Notificami
3 Commenti
Oldest
Newest
Inline Feedbacks
View all comments
Marilena Di Vano
2 anni fa

Un racconto fantastico!!!❤️

Mac
2 anni fa

Coinvolgenti e belli come sempre i tuoi ricordi che racconti con amore. La nostalgia che provi è la stessa che susciti in me. Momenti speciali e imprese, magari piccole, ma allora importanti, e non prive di una vena a volte tragicomica, ma certo comunque simpatica ripensando agli attori….
Cara MP, il tulipano purtroppo si è rotto di nuovo….accidenti, comincio a pensare che mi stia sfidando…..