In uno dei miei “ventiframmenti”, intitolato “Rendez-vous”, qualche anno fa scrivevo:
È tempo breve
di respirarti il solo viso.
Vita mi porta via
risacca sulla rena.
Cantavo l’attimo, la sensazione incontrovertibile, quasi tattile, di compiutezza, che chiamiamo felicità, per sua stessa natura fugace. Giusto il tempo di respirare una parvenza, prima di ritrovarsi di nuovo avviluppati dalla necessaria, quotidiana realtà della nostra vita.
E nell’alter ego di “Rendez-vous”, pubblicato sulla sua destra, proseguivo:
Impossibile il tempo
di conservarsi amanti
strappare alla vita
irripetibile attimo.
Vorrei
essere precario equilibrio
del primo appuntamento
stupore di un’alba al mare.
Il primo appuntamento, saturo delle aspettative di tutto ciò che deve e può ancora avvenire.
Romantico. Lontanissimo dall’etimo del termine francese appointement il cui significato è “regolazione di un affare, stipendio, retribuzione” e, di conseguenza, nel suo calco italiano, “accordo, patto”.
Nel corso del tempo, l’uso ha progressivamente spogliato la parola della fredda formalità di questa accezione, ed oggi usiamo il termine per fare riferimento ad un “incontro stabilito di comune accordo tra due o più persone”, come recita il vocabolario Treccani.
In senso figurato, quando “manchiamo all’appuntamento”, abbiamo in qualche modo deluso le nostre o altrui aspettative, non siamo stati in grado di cogliere quell’occasione che, magari, avrebbe potuto imprimere un corso differente alla nostra esistenza.
Ornella Vanoni, qualche anno fa, cantava la malinconica composizione di Roberto Carlos, tradotta in italiano da Bruno Lauzi, che parlava di un appuntamento accettato consapevolmente sul limite dell’azzardo, l’ennesima occasione per sbagliare di nuovo.
“Sono triste tra la gente che mi sta passando accanto, ma la nostalgia di rivedere te è forte più del pianto. Questo sole accende sul mio volto un segno di speranza, sto aspettando quando ad un tratto ti vedrò spuntare in lontananza”.
E intanto il sole diventa pioggia sull’attesa che si svela essere l’ennesimo disincanto ma che diventa necessaria e non pone, dunque, limite al tempo che ancora dovrà trascorrere, perché quell’appuntamento è l’incontro con noi stessi, con ciò che abbiamo fatto della nostra vita e che non possiamo rimandare oltre: “Non m’importa cosa il mondo può pensare, io non me ne voglio andare … sono solo un resto di speranza perduta tra la gente”.
Un giorno Mac mi diede appuntamento a piazza di Spagna. Eravamo sposati da dieci anni e quel giorno era il nostro anniversario. Mi infilai i jeans e una giacca attillata nera, le scarpe con un accenno di tacco. Mi raccolsi i capelli – gli è sempre piaciuta molto questa acconciatura – e scivolai leggera da un vagone della metro sui sampietrini, velati di una pioggia sottile. Andavo da lui, ticchettavano i passi sul cuore.
Percorsi da un angolo all’altro il sorriso di quella piazza immortale e Mac non c’era per vedermi arrivare. Si scioglievano i dettagli di quello che mi ero messa addosso, ciocche di capelli di uno chignon in bilico. Ancora più imperfettamente bello.
L’appuntamento inciampa nel nostro quotidiano, per certi versi si serve di occasioni anche banali per suggerirci la possibilità di viverle sotto una nuova prospettiva.
Quando ci spingiamo fuori dal contesto che ci è abituale, quando, in altre parole, usciamo di casa anche per incontrare la persona che ci vive accanto, indossiamo un abito diverso, che ci valorizza, in cui riconosciamo ciò che più apprezziamo di noi stessi.
Mi piace uscire con Mac, a camminare. La conversazione è varia e fitta, non procediamo semplicemente vicini, ci riconduciamo insieme a ciò che siamo.
Del mio primo appuntamento con lui conservo tutti i fotogrammi al loro posto, nell’esatta sequenza, con il vezzo di qualche flash-back, a creare una sottesa sospensione nel racconto.
Avremmo dovuto incontrarci all’ingresso di un noto locale romano dove si balla. E io sono timida e in circostanze del genere divento maldestra, mi sento fuori posto, mi sudano le mani.
Il mio amico Marco mi aveva parlato di Mac il giorno del mio compleanno, ripromettendosi di presentarmelo alla prima occasione. Passarono i mesi, quattro per l’esattezza, fino al 26 ottobre, giovedì.
Scrivevo di politica, gestione e valorizzazione dei Beni Culturali, a quel tempo, per il quotidiano “L’umanità” e quel pomeriggio mi ero ripromessa di fare un salto all’inaugurazione di una mostra. Il tempo era incerto, avrei potuto passarci anche l’indomani. Restai, dunque, a casa, a prepararmi per la serata.
Quell’appuntamento si caricava delle accezioni rituali dei grandi eventi, tutto avrebbe dovuto essere perfetto e, dunque, splendidamente lasciato al caso, all’inciampo dell’ultimo momento, anche nella scelta dell’abbigliamento, dopo una giornata spesa ad occuparmi d’altro.
Manca sempre nel mio guardaroba quello specifico capo che farebbe decisamente la differenza, che mi interpreterebbe senza enfatizzarmi, che indosserei senza alcuna esitazione.
Uscii di casa in ritardo, di corsa, spettinata, come di consueto, con quel tanto che basta di capelli che mi schermassero allo sguardo degli altri. Niente tacchi, ballerine, una gonna corta di lana nera, a portafoglio, calze opache dello stesso colore, e un maglione a coste inglesi di mia mamma, color tabacco, con una fila di bottoncini decorativi sul davanti, sufficientemente largo per ricavarmi un confortevole cantuccio. Nulla che potesse essere messo in relazione, insomma, con una serata da trascorrere in una sala da ballo.
Le donne camminavano spavalde sui tacchi alti, spolverate della luce delle paillettes dei loro abiti, nell’architettura che componeva acconciature e cromie del maquillage. Io mi guardavo i piedi e fumavo e Mac non era ancora arrivato.
Ieri mattina sono uscita sul mio terrazzo. Due ciclamini che nessuno ha piantato, eretti, di colore diverso, giunti da chissà dove, si sono dati appuntamento nello stesso vaso.
anche questo improvviso appuntamento con il tuo racconto sa emozionare.
Ne sono felice, grazie!
Sogniamo appuntamenti in luoghi magici e lontani, ma siamo felici di fare quattro passi, o la spesa, o un giretto in automobile con qualche scusa, o in vespa al mare.
Sono Mac, che arriva sempre in ritardo…..ma ti guarda da lontano……….