Del frammento o dell’eternità dell’istante

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Che cos’è un ossimoro?

E’ una figura retorica che consiste nell’accostamento di due termini di significato opposto, di due concetti, insomma, che da un punto di vista semantico dovrebbero fare a pugni e che, al contrario, convivono pacificamente tra loro.

I due termini dell’ossimoro sono idealità e quotidianità, utopia e realtà, speculazione e pragmatismo.

La tesi che intendo dimostrare, dunque, è che la poesia è ed è stata in tutti i tempi incondizionata voce dell’uomo, inteso non solo nelle sue aspirazioni e ideali ma soprattutto nel suo essere attore protagonista del suo tempo.

 

Poesia deriva dal verbo pragmatico per eccellenza: poieo, faccio, faccio con le mani, do forma alla materia che ho tra le mani, la plasmo, la fingo.

Il verbo fingere è un esempio di come un termine muti la sua etimologia con l’uso quotidiano che se ne fa attraverso i secoli. Il verbo fingere è latino e significa modellare. E’ riferito all’argilla che gli antichi ceramisti modellavano per creare le loro opere dette, appunto, fittili.

 

Oggi il verbo fingere ha un’accezione deteriore e fa riferimento ad un atto di adulterazione, contaminazione, inquinamento, inganno.

Si finge quando si dissimula, quando alla realtà, alla verità scegliamo di dare una forma diversa, falsa.

 

A che cosa dà forma, dunque, la poesia? Che cosa finge, in senso etimologico?

La poesia è lo strumento che dà forma a quello che di noi, altrimenti, non sarebbe distinguibile all’esterno.

La poesia è il profilo della nostra anima, intesa come universo intellettivo ed emotivo. E questa è la funzione di ogni forma d’arte. Ma i Greci, forgiandone la definizione sul verbo poieo, ne hanno decretato l’eccellenza su tutte le altre.

 

Il poeta è portatore sano di libero pensiero.

E’ costantemente immerso nel flusso di tutto ciò che la società in quel momento elabora, produce. L’ho già detto: il poeta è uomo del suo tempo.

Il poeta è la voce della coscienza civile di un popolo, della sua vocazione alla libertà e alle istituzioni democratiche.

Basti pensare ad Alceo e alle sue invettive contro il regime tirannico, nella seconda metà del VII secolo a. C., e a Garcia Lorca, alla sua militanza poetica contro l’usurpazione di Francisco Franco, che rovescia con un colpo di stato il governo spagnolo democraticamente eletto.

 

Perché si scrive poesia?

Perché abbiamo bisogno di fermarci in mezzo alle cose che si muovono troppo in fretta, di riconoscerci, di esserci anche nel dissenso.

Perché si scrivono frammenti?

Frammento è ciò che resta di un intero che è stato distrutto.

Di straordinarie opere letterarie greche e romane non ci sono pervenuti che frammenti, perché i codici che le contenevano sono andati perduti o sono stati parzialmente cancellati da calamità naturali o dalla follia del fanatismo dell’uomo.

La Biblioteca di Alessandria d’Egitto, il più straordinario monumento allo scibile umano, con i suoi 700.000 volumi, subì vari incendi all’epoca di Giulio Cesare per essere, poi, definitivamente distrutta dagli Arabi.

 

Ma frammento è anche frutto di una consapevole ricerca poetica.

Il frammento piomba nel profondo, si incarna nell’idea, nella sua più intima essenza, la spoglia di ogni corollario

Il frammento è nudo nella sua essenziale funzione di comunicazione.

E’ il sigillo dell’attimo nell’attimo stesso in cui diventa eterno.

 

Amo scrivere frammenti. Sottende una tensione per certi versi atletica il sottrarre il superfluo dall’esiguo, per trasmutare quell’esiguo in minimo, senza tralasciare nulla, nemmeno il silenzio tra una parola e quella che segue, esaltandone, anzi, il valore, fino a farlo assurgere a suprema dimensione espressiva.

Nel 2009 raccolsi la sfida di raccontare in frammenti poetici le opere della mia amica pittrice, Antonella Cappuccio, cui era stato offerto lo spazio museale della sede di New Haven dei Cavalieri di Colombo, per una mostra personale che ne illustrasse le diverse sperimentazioni.

Non è facile raccontare una singola opera di Antonella: in una sorta di horror vacui, le sue tele, come nel progressivo svelamento della Matrioska, intessono le più disparate suggestioni simboliche, letterarie, filosofiche, esoteriche, religiose, in una trama stretta che presuppone la lettura lenta di ogni singolo dettaglio.

Composi, dunque, venti frammenti che avrebbero narrato poeticamente alcune delle sue opere più rappresentative, e che portano il nome delle tele cui fanno riferimento.

Mi rivolsi a un poeta che me li tradusse in inglese. L’effetto mi deluse profondamente: erano andati perduti ritmo e cantabilità, per non parlare della polisemia delle parole che avevo scelto per incarnare la multiformità dei concetti che sottendevano i dipinti di Antonella.

La mostra fu un successo ma non mi offrì le opportunità che avevo sperato alla vigilia.

Trascorsero i mesi, fino a quando Mac, una sera, mi domandò perché, a proposito del frammento intitolato “Amore sacro ed Amor profano” avessi preferito al termine “bellezza”, la parola greca “kosmos”. Io cominciai a raccontare e Mac mi chiese  di continuare fino al ventesimo.

Da questa circostanza prese forma “ventiframmenti”, presente per intero sul mio sito, in testo e in audio e, solo per alcune composizioni, su Youtube.

Lo spazio di ogni pagina è condiviso tra il frammento e il suo alter ego, un testo allineato a destra, una specie di spalla, se vogliamo utilizzare un termine giornalistico.

Non si tratta di una nota, una chiosa scritta di fianco, anziché a piè di pagina, come di consueto.

E’ la mia voce che racconta l’istante. Il frammento è l’istante, nell’attimo in cui è stato vissuto e consegnato alla memoria, in una sorta di stratificazione sentimentale.

 

 

 

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Mac
3 anni fa

Bellissima descrizione che restituisce al ‘fare’ la profondità ‘dell’essere’.
Maria Paola, ci racconti ĺ’ itinerario di un viaggio speciale del quale noi, lettori, a volte, ri-conosciamo solo la meta.
Brava.