Il 28 marzo ha preso avvio il restauro dell’Altare della Patria; nello stesse mese, due anni fa, si è concluso quello del Mausoleo di Augusto; nel 2018 si è messa mano alla seconda fase degli interventi sul Colosseo, che riguardano gli ipogei. E qui mi fermo
Città eterna, eterni restauri. D’altronde, non potrebbe accadere altrimenti nella capitale che vanta tre millenni di continuità abitativa! E nella cronaca degli interventi di ripristino dei suoi monumenti, che si sono succeduti nel corso della storia, si incappa, talvolta, in vivaci bozzetti di costume e malcostume che ritraggono epoche, per tanti aspetti, non troppo dissimili dalla nostra. E’ questo il caso dell’arco di Costantino, il monumento onorario eretto tra il luglio e il settembre del 315 d. C., per celebrare i Decennalia, i primi dieci anni di regno dell’imperatore, e, nel contempo, augurargliene altrettanti. Con il decreto del 28 ottobre del 312, il Senato e il Popolo di Roma ne decretavano la dedica a colui che aveva vendicato la Repubblica dal tiranno, Massenzio, gloriosamente sconfitto nella battaglia di Ponte Milvio.
Il cristianesimo, da quel momento, entrava ufficialmente nel sistema istituzionale romano e l’arco di Costantino, mirabile paradigma del fenomeno del riutilizzo di elementi scultorei e architettonici appartenenti a edifici di età anteriore, costantemente menzionato dalle fonti medievali, si è conservato praticamente intatto, tra l’altro, proprio per essere stato dedicato al primo imperatore cristiano.
Ma anche i monumenti più celebri non sfuggono alle angherie del tempo e degli uomini e, nel corso dei secoli, si sono moltiplicati gli interventi per ripristinarne il valore decorativo. Numerose sono le testimonianze che ci consentono di ricostruirne la cronaca.
Benedetto Varchi, nella sua “Storia Fiorentina” (tomo V, p. 266, ed. 1804) riferisce che nel 1534, al termine del pontificato di Clemente VII, vennero decapitate le statue e parte dei bassorilievi che lo decoravano. Il colpevole: Lorenzino de’ Medici. “Trovandosi una mattina nell’arco di Gostantino e in altri luoghi di Roma molte figure antiche senza le loro teste, Clemente montò in tanta collera, che commandò che chiunque fosse colui, che tagliate l’avesse, eccettuato solo il cardinal de’ Medici, dovesse essere appiccato per la gola: il quale cardinale andò a accusare al papa Lorenzo come giovane e desideroso di cotali anticaglie, e con gran fatica potè raffrenare l’ira sua”.
Il poveretto fu costretto a lasciare in fretta e furia la città “ed ebbe due bandi pubblici, uno dai Caporioni, che non potesse stare a Roma mai più, l’altro dal Senatore, che chiunque l’uccidesse in Roma, non solo non dovesse essere punito, ma premiato; e Messer Francesco Molza gli fece un’orazion contra dell’accademia Romana trafiggendolo latinamente e quanto seppe e potette di più”.
La grave accusa mossa ne confronti di Lorenzo de’ Medici, in verità, non venne mai provata: le teste, difatti, non furono mai portate a Firenze; una sola, profondamente interrata, venne rinvenuta alla base dell’arco nel 1803 circa, come testimonia il Guattani in “Roma antica” (Roma, 1805, tomo I, pag. 45): “Quelle teste a Firenze non vi sono né v’è memoria che vi sieno state. Al contrario, cavandosi intorno all’arco, non ha guari, ne fu trasportata una al Vaticano. Dio sa come la cosa sia andata”. Già…
Per tutto il corso del XVI sec. l’arco di Costantino fu oggetto di cure costanti e quando, nel 1536, Carlo V fece il suo ingresso trionfale nella Città Eterna, si provvide a restituirgli parte della dignità perduta, non tanto intervenendo con opere di restauro quanto, piuttosto, con la rimozione della terre e dei detriti che si erano accumulati nelle sue dirette vicinanze, e con l’espropriazione della Vigna Maffei, che si era spinta fino alle sue soglie.
Ce lo racconta nel 1896 Domenico Orano e, a sua volta, Rodolfo Lanciani scrive che il viale di San Gregorio “non fu aperto nuovamente ma spianato, ingrandito e condotto a dritto filo” (“Storia degli scavi di Roma, Roma, 1903, vol. II, pag. 58).
Le condizioni del monumento, però, dovevano destare serie preoccupazioni se durante la seduta del Consiglio pubblico, il 27 giugno 1570, il primo Conservatore, Pietro Aldobrandini, richiamava l’attenzione delle autorità romane sul suo deplorevole stato. Il pontefice Paolo III rispose all’accorato appello e ne curò i restauri e la ripulitura.
Clemente VIII (1592-1605) si impadronì di una delle colonne decoranti le facciate dell’arco e, appaiandola ad un’altra proveniente dal Foro di Traiano, le adattò entrambe sotto l’organo, nel transetto di San Giovanni in Laterano. O tempora, o mores!
All’epoca di Clemente XIII (1730-1740), il monumento si presentava in condizioni assai critiche, specialmente per quanto riguarda le sculture e i bassorilievi. Per di più le proprietà private si erano estese a tal punto da occupare le due stradine che correvano ai suoi lati, e chi doveva percorrere la via di San Gregorio era costretto a passare sotto l’arco, contribuendo al suo deterioramento.
Nel terzo semestre del 1731, Clemente XII si adoprò per il suo restauro generale, servendosi, a tale scopo, di un frammento di grande trabeazione, preso dal Neptunium, allora rinvenuto presso piazza di Pietra. Nel corso dei lavori vennero espropriate due porzioni di ville private, una dei Machesi Cornovaglia, l’altra di proprietà del Cardinale Barberini, che, bontà sua, donò il suo terreno.
Ripristinato, in questo modo, il traffico nelle due stradine laterali, non si rese più necessario il passaggio sotto l’arco. A Pietro Bracci venne affidato il restauro di varie sculture. Leggendo il suo diario, possiamo ricostruire il complesso dei suoi interventi e la relativa spesa: otto teste mancanti in pavonazzetto (per 40 scudi l’una), braccia e mani delle otto statue degli schiavoni daci (per 15 scudi a schiavo), otto teste dell’imperatore Costantino, quattro teste di soldati e di donne ritratti nei bassorilievi posti tra gli schiavoni (per 7 scudi l’una) e, ex-novo, la statua di un Dace (per 90 scudi). Più il costo dei modelli in stucco (8 scudi), la manodopera “de Gioueni” (135 scudi) e le spese minute (12 scudi)
Con l’emanazione del Chirigrafo di Pio VII (2 ottobre 1802), con il quale si regolamentava l’attività di scavo e la tutela delle opere d’arte, ci si rivolse al ripristino dell’arco di Costantino. Per l’ennesima volta si procedette alla liberazione delle terre dalla sua base, mettendo in luce i pilastri, ormai quasi del tutto coperti dalle incurie del tempo.
Lo sterro terminò intorno al 1805, con la costruzione di un muro di recinzione circolare che, una ventina d’anni dopo, venne distrutto, durante i lavori che riportarono tutto il piazzale al livello antico, e rivelarono un tratto della strada che collegava l’arco di Costantino a quello di Tito.
Nell’agosto del 1883 si chiusero i fornici per evitare il transito delle carrozze che avrebbero potuto recare nocumento al monumento.
Settant’anni dopo, nel 1955, per 18 mesi consecutivi, a partire da aprile, si mise mano ai lavori a fronte dello stato di fatiscenza e alterazione statica di alcuni tra gli elementi strutturali dell’arco. Il traffico, gli agenti atmosferici, l’azione ingiuriosa dell’uomo: i responsabili.
Le continue vibrazioni del suolo non solo avevano turbato l’equilibrio statico ma avevano causato distacchi parziali delle sue parti in aggetto.
L’azione disgregatrice degli agenti atmosferici aveva provocato erosioni e, in alcuni casi, la trasformazione del carbonato di calcio, componente e legante dei cristalli costituenti i blocchi marmorei, in bicarbonato solubile, con conseguente sfarinatura e progressiva corrosione.
Da ultimo l’uomo, nel corso dei secoli, è intervenuto sulla superficie esterna dell’arco, provocando squarci, slabbrature, fori tassellati con rozze toppe di intonaco, fortemente stridenti con l’armonia cromatica del monumento.
L’intervento del 1955-56 consistette innanzitutto nell’eliminare tutte le riprese di intonaco, sostituendole con un impasto di calce, polvere di marmo e colori minerali. Vennero eseguiti calchi in gesso alle parti mancanti alla cornice che inquadra i bassorilievi; si realizzò la perfetta impermeabilizzazione della terrazza di copertura, dopo aver rimosso gli strati sovrapposti dei precedenti interventi; vennero eliminate le staffature di ferro, sostituite con altre in ottone e bronzo. Si intervenne sulle zone sfaldate o incrinate dei bassorilievi, nelle quali vennero iniettati mastici speciali, sulle quattro colonne laterali, maggiormente in pericolo perché sottoposte alle continue vibrazioni del traffico cittadino, sulle statue dei Daci, quasi del tutto staccate dalle propri basi, profondamente erose per l’infiltrazione di acqua piovana, che vennero assicurate saldamente alla struttura muraria, per mezzo di tiranti, lunghi 7 metri. Venne anche ricollocata in situ la testa di un guerriero dace morente.
A metà febbraio 2021 l’inizio dei lavori dell’ultimo intervento di ripristino.
Città eterna? Eterni restauri!