Sarebbe stato davvero inconcepibile che con tutto quel firmamento acceso di astri e pianeti, appeso sulla mia testa, io mi ostinassi a perpetrare l’insipienza che mi si era rivelata nella sua enormità qualche anno prima, in barca a vela, sul Miura, nelle acque di Ibiza e Formentera, con la materializzazione della stellata perfetta, ogni notte per sette giorni.
Lontano nel tempo e nello spazio il mare di Spagna, nell’estate del 2002, a Orvinio, guardavo la volta celeste e, a parte Ursa Maior e Ursa Minor – era proprio il caso di dirlo – il buio più assoluto. Livia aveva un mese di vita, le sue poppate si susseguivano regolari ogni tre ore. Aspettavo che lei si svegliasse e mi chiamasse per la razione di latte con i suoi versetti delicati. Già, anche allora faceva in modo di non disturbare nessuno. E in quegli intervalli di veglia, fino alla mezzanotte, il cosmo avrebbe potuto svelarmi almeno il nome di alcune delle sue straordinarie combinazioni di corpi luminosi, distanti tra loro anche parecchi anni luce, ma che noi percepiamo composti in disegni compiuti, in virtù di un banale errore prospettico.
Eh sì, perché in astronomia le costellazioni non esistono. Che dire, poi, di quelle dello Zodiaco, a tutti le più note, comprese in quella fascia immaginaria distesa lungo l’eclittica dell’orbita terrestre attorno al Sole?
I segni zodiacali usati dagli astrologi di 2000 anni fa corrispondevano ai punti in cui si vedeva proiettato il Sole nel corso dell’anno ma, a causa della precessione degli equinozi, quelle stesse combinazioni astrali, oggi, non corrispondono più alle costellazioni che osserviamo nel cielo.
Giusto per fare un esempio, il 21 marzo, equinozio di primavera, il Sole si dovrebbe trovare nell’Ariete, secondo gli antichi oroscopi, mentre oggi è nei Pesci.
E’ lecito domandarsi, dunque, se abbia un senso continuare a prestar fede alle previsioni astrologiche…
Ma tornando a quell’estate del 2002, incominciai a studiare le carte del cielo, al buio, servendomi di una piccola torcia, per abituare gli occhi alla notte, e a proiettarle nei disegni luminosi che si dipanavano sopra la mia testa. 88 le costellazioni “ufficiali”, scelte nel 1922 dall’International Astronomical Union, 48 delle quali già descritte nel II sec. d. C. dall’astronomo Tolomeo, nella sua opera “Almagesto”, in cui aveva raccolto le tradizioni astronomiche greche più diffuse, arrivando a citare 1025 stelle!
Storia, archeologia, mito, scienza, a partire dalla metà del III millennio a. C., nell’antica Mesopotamia, in quelle notti che immaginavo sterminate, in cui i sacerdoti-astronomi sumeri, seguiti, poi, dai Babilonesi e dagli Assiri, le battezzarono.
Su più di 4000 tavolette a scrittura cuneiforme del periodo neo-babilonese (604-539 a. C.), rinvenute in Mesopotamia, i nomi di 4000 stelle!
I Greci, verso il 500 a. C., adottarono da questi popoli le costellazioni più importanti: 20 ne sono riproduzioni fedeli; 10 sono composte dalle stesse stelle ma hanno nomi differenti. Alcune, come il Capricorno e i Gemelli, erano conosciute dagli Assiri con nomi simili: il “Pesce-Capra” e i “Grandi Gemelli”; altre sono state rinominate, come il “Bracciante Agricolo” degli Assiri, diventato l’Ariete dei Greci, e la “Rondine”, la costellazione dei Pesci.
Di 18 figure greche, però, non si rintraccia l’origine né in oriente né altrove.
Tra di esse figurano Hercules, il vigoroso semi-dio, protagonista di mirabolanti avventure in cui ha modo di fare sfoggio della sua vigoria fisica, e il Draco, il Delphinus, il Leo, le sue vittime.
Per non parlare di Perseus, altro celeberrimo eroe del mito, insieme ai comprimari Cassiopea, Cepheus, Andromeda e Cetus: la madre vanitosa, il padre snaturato, la povera fanciulla salvata dalle terribili grinfie del mostro dall’eroe bello e famoso.
Ecco che cosa accadde.
La regina d’Etiopia, Cassiopea, moglie di Cepheus, era una donna bellissima e vanitosa a tal punto da gloriarsi di superare per avvenenza le stesse Nereidi, le cinquanta ninfe del mare, figlie di Nereo, le quali, indignate per l’affronto subito, supplicarono Poseidone di vendicarle.
Il Dio scatenò una violenta tempesta che si abbattè rovinosa sulle coste del regno di Cepheus – il territorio compreso tra la Palestina e il Mar Rosso, secondo gli storici – i cui abitanti dovettero subire anche l’efferatezza del mostro marino Cetus, la balena.
Il povero Cepheus, disperato, si recò da Ammone che gli svelò l’inaccettabile verità: il flagello sarebbe cessato solo se il re avesse sacrificato la sua giovane figlia, Andromeda, all’orrenda creatura. E Cepheus così fece, spinto più dall’amore per il suo regno che da quello per la sventurata ragazza.
Andromeda fu incatenata nuda alle rocce – la scogliera in questione si troverebbe a Giaffa, attualmente compresa nell’area urbana di Tel Aviv – e stava per essere divorata dal mostro quando fu scorta dal cielo dall’eroe Perseo. Di ritorno da una delle sue epiche imprese, l’uccisione di Medusa, egli stava sorvolando la costa, grazie ai calzari alati che Hermes gli aveva prestato. La vide, la liberò dalla morte crudele e, abbagliato dalla sua bellezza, la chiese in sposa.
Si potrebbe chiosare: ”e tutti vissero felici e contenti” ma i guai incominciarono proprio durante il banchetto di nozze.
Il fratello di Cepheus, che aveva chiesto la mano di Andromeda prima dell’eroe, con la complicità, neanche a dirlo, della pessima Cassiopea, sfidò Perseo che trasformò l’uomo e i suoi sostenitori in statue di pietra. Vista la mala parata, infatti, si era risolto a mostrare ai suoi aggressori la testa mozzata di Medusa che aveva il potere, appunto, di pietrificare chiunque la guardasse.
Perseo, poi, dopo qualche tempo partì alla volta di nuove avventure e rinunciò a regnare sul territorio che suo suocero gli aveva donato. E Andromeda? Rimase a casa a fare la mamma…
Certo, in questa storia vi sono alcuni personaggi che è lecito definire piuttosto meschini. Cepheus, ad esempio. Perché, dunque, i Greci sarebbero stati indotti a collocarlo addirittura tra le stelle?
La risposta è semplice: quel padre snaturato fu per loro l’equivalente elladico del figlio di Belos, sovrano dell’antica Mesopotamia che Plinio il Vecchio cita come “l’inventore della scienza delle stelle”.
20.000 anni fa il Polo Nord celeste si trovava proprio nella sua costellazione! E’, dunque, assai probabile che essa sia stata creata intorno a quella lontanissima data.
Il punto di partenza della mia carriera di astrofila fu l’inconfondibile “W” di Cassiopea, la regina incatenata al trono, talvolta a testa in giù, a punizione della sua vanagloria, come la rappresentavano i Romani, o il cammello inginocchiato, nella tradizione araba. E ancora oggi, visibile nel cielo di settentrione in ogni stagione dell’anno, alle medie latitudini, la svelo a chi, come me, non sa resistere all’incanto di una bella favola, raccontata come una volta, senza fretta, per tutta la notte, prima che faccia giorno.
Cara Maria Paola, é sempre un grande piacere leggerti, quando trovo Cassiopea nel cielo mi sento meno smarrita tra quell’infinità di stelle che affascina rapisce e sgomenta. Gli Dei si sono sempre dati un gran da fare! Quante storie legate alle geometrie celesti! Buon per noi che possiamo godere delle tue narrazioni. A presto.
Grazie di cuore!
Rimango sempre ammaliata dai tuoi racconti, bravissima mamma❤️
Amore mio bellissimo, grazie!❤