Uno, due, tre…conto fino a dieci. Il fascio di luce illumina ai naviganti il mare, da Punta Imperatore, a Ischia. Eccolo di nuovo. Magnetico, come quello dell’isola di Hvar, che guardavamo da Zaostrog, seduti sotto la pergola del ristorante Brazera, come tutti i fari per noi che da terra immaginiamo storie di uomini sul mare, sotto la notte.
Pharos era il nome dell’isoletta prospiciente il porto di Alessandria d’Egitto sul quale Sostratos di Cnido, sotto il regno di Tolomeo Filadelfo, all’inizio del III sec. a. C., eresse il primo faro della storia, che da quel luogo prese il nome. Ci vollero vent’anni e 800 talenti per portare a termine quell’opera straordinaria, dedicata ai Dioscuri, gli Dei Salvatori, citata con ammirazione in numerose opere letterarie di età classica e medievale.
Il terremoto del 796 d. C. lo distrusse; qualche lacerto murario è stato inglobato dal forte di Qãit Bey, risalente alla fine del 1400. Ma dalle monete emesse dagli imperatori Domiziano, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio, Commodo e dai doviziosi dettagli riportati in alcuni testi arabi possiamo farci un’idea di come si presentasse: due torri sovrapposte con finestre, a pianta quadrata la prima, alta 60-70 metri, rastremata verso l’alto, con base di 30 metri per lato; la seconda ottagonale, alta 30-34 metri. A coronare una lanterna di 9 metri di altezza, costituita da un colonnato circolare, sormontato da un tetto conico.
Una delle sette meraviglie del mondo, che faceva luce sul mare grazie alla combinazione della combustione di legni resinosi e olii minerali con l’utilizzo di uno specchio concavo che, con tutta probabilità, regolava la direzione del fascio luminoso, visibile a 50 chilometri di distanza, e ne potenziava l’intensità. Le coste del Mare Nostrum, la più straordinaria e trafficata autostrada dei tempi passati, erano costellate di fari che da quello di Alessandria trassero ispirazione.
Ai giorni nostri, ogni faro si distingue da un altro per durata, sequenza e, talvolta, colorazione della luce, che può essere anche rossa o verde. In altre parole, per trovarne due uguali si deve magari attraversare un oceano. Le linee elettriche che alimentano le lampade ad incandescenza, comprese quelle secondarie, le batterie di accumulatori ricaricabili e i gruppi elettrogeni servono a scongiurare il pericolo di un’interruzione del funzionamento. Nessun tratto di costa, in condizioni medie di visibilità atmosferica, deve rimanere fuori dalla portata della luce di un faro.
Neanche quella notte di tempesta, quando i venti d’inverno si diedero convegno, funesti, a Sesto, sulla sponda europea dell’Ellesponto, gli attuali Dardanelli, nel Chersoneso Tracio, e si abbatterono sulla riva del mare e sferzarono le onde impetuose nelle quali nuotava Leandro, di Abido, sulla sponda asiatica dello stretto, nella Misia, che lottava contro gli elementi per raggiungere la sua amata Ero, nella torre sulla scogliera.
I naviganti, al giungere della cattiva stagione, avevano tirato in secco le navi ma il giovane, vincendo il freddo e la violenza dell’acqua in burrasca, quella notte si immerse, implorando Afrodite Thalassia e Poseidone. Nessuno gli venne in aiuto, neppure Eros che lo aveva colpito con una delle sue frecce fatali, il giorno in cui si celebrarono a Sesto le Adonie, le feste introdotte in Grecia dalla Siria e da Babilonia, intorno al VII sec. a. C., diffusesi, poi, anche in Egitto e a Roma, che avevano luogo solitamente al solstizio d’estate.
Vi convenivano dalla Grecia e dalle sue isole, dal Libano, dalla Frigia. Quel giorno Leandro, alla vista di Ero, splendida sacerdotessa di Afrodite, si innamorò perdutamente della sua grazia, della sua bellezza e, spinto dalla passione, ebbe l’audacia di avvicinarla, di vincerne la pudicizia e di sedurla con il fascino della sua avvenente giovinezza e delle sue parole.
Quella stessa notte i due giovani celebrarono le nozze segrete nell’alta torre sulla scogliera dove viveva la fanciulla per il volere dei genitori, suo unico vicino il mare, complici il buio e il silenzio.
E all’alba Leandro ripercorse a nuoto i sette stadi dell’Ellesponto, 1295 metri circa, per fare ritorno ad Abido.
Ero, di giorno casta sacerdotessa di Afrodite e di notte sposa di Leandro, accendeva una fiaccola per illuminare il tratto di mare che separava da lei il suo amato. Fino a quell’ultima notte d’inverno quando una violenta folata di vento spense il lume e la vita e l’amore.
La furia delle onde travolse il ragazzo. All’alba del giorno dopo, il corpo straziato dagli scogli dell’infelice Leandro fu trovato esanime, ai piedi della torre, da Ero che si lanciò nel vuoto per raggiungerlo.
L’epillio di Museo, della seconda metà del V sec. d. C., che ci è pervenuto integralmente, ci racconta la storia dei due sventurati amanti, già cantata dal poeta latino Ovidio, nelle sue “Erodiadi”, che tanta fortuna riscosse nei secoli successivi, basti pensare, tra gli altri, alle pagine di Schiller e Hölderlin. E noi l’ascoltammo un giorno dalla voce intensa del Prof. Magnino, che la spogliava di ogni retorica tragico-romantica di maniera e ci restituiva il freddo pungente e il fragore delle onde in quella notte di vento che aveva precipitato nel buio due ragazzi della nostra età.
Sullo sfondo le nostre affascinanti digressioni storiche, la città di Abido, fondata verso il 670 a. C. dai coloni di Mileto, di fronte a Sesto, nel punto in cui era più agevole passare l’Ellesponto; i due ponti di barche su cui transitarono gli uomini in armi di Serse, nel corso della seconda spedizione persiana contro la Grecia; l’Asia Minore, dove collocavamo senza alcun ritegno ogni località che il nostro straordinario docente di Greco ci citava.
Non resta più nulla della torre di Ero. Antipatro di Tessalonica, autore, di epoca augustea, di alcuni epigrammi raccolti nell’Antologia Palatina, compilata nel XIV secolo dal monaco bizantino Massimo Planude, (A.P., VII, 666) scrive:
“Questo il varco fu di Leandro, questo lo stretto che non solo all’amante greve fu. Ecco la casa di Ero, la torre – quanto ne resta. Posava il lume traditore qui. Questa la tomba comune. Vi giacciono entrambi, tuttora maledicendo quel maligno vento” (Traduzione di Filippo Maria Pontani, Einaudi, Torino 1979)
In corrispondenza della torre di Ero, un’altra si erge sulla costa asiatica.
E’ un faro.